La chiacchierata con Fosca, è stata interessantissima. I temi in cui ha spaziato sono tantissimi: dal suo percorso universitario e di ricerca al lavoro in una torrefazione, dall’essere diventata la più giovane Q-Arabia Grader al ruolo delle donne nel modo del caffè. Insomma, un post da non perdere, buona lettura!
Ciao Fosca come ti sei approcciata al mondo del caffè?
Come spesso dico quando mi fanno questa domanda, il caffè è arrivato nella mia vita per caso. Ero al terzo anno della laurea triennale in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’università Cattolica del Sacro Cuore nella mia città, Piacenza, quando – durante una visita presso una torrefazione – sono stata incuriosita da questo mondo e ho iniziato a far domande relative al processo produttivo e alle diverse origini.
Pochi giorni dopo, la docente che ci accompagnava in questa attività è stata ricontattata dall’azienda che aveva notato la mia curiosità e voleva propormi un’attività di stage di qualche mese. L’azienda in questione era Caffè Musetti e quel giorno, in modo del tutto inaspettato, iniziava il percorso che mi ha portato ad innamorarmi di questo bellissimo mondo.
Quello che era uno stage è diventato poi un rapporto di lavoro che è durato per due anni, durante i quali ho avuto la possibilità di proseguire gli studi, ottenendo anche la laurea magistrale Scienze e Tecnologie Alimentari, assaggiare tanto, imparare a tostare, visiate fiere internazionali e diventare la più giovane
Q-Arabia Grader e Q-Processing Professionist italiana.
Ci spighi nel dettaglio il tuo percorso accademico e quali sono i tuoi obiettivi?
Dopo la laurea magistrale di cui ti parlavo sopra, durante un viaggio in Brasile, quasi quattro anni fa, ho sentito che quello che volevo fare nel mondo del caffè non era solo – se così si può dire – lavorare, perché la mia passione per lo studio e per la conoscenza non era molto d’accordo di smettere di frequentare assiduamente il mondo accademico, è per questo che ad agosto 2019, appena rientrata in Italia, ho deciso di svoltare la mia vita e di licenziarmi dell’azienda presso la quale lavoravo e tornare dove mi portava la mia passione per la ricerca. Ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada persone che hanno capito cosa mi muoveva e hanno creduto in me sostenendo la mia candidatura per una bosra di dottorato presso la scuola di dottorato Agrisystem dell’università Cattolica del Sacro Cuore dove ormai ero di casa.
Oggi sono arrivata alla fine del mio percorso che concluderò il 4 aprile con la discussione della mia tesi di dottorato intitolata “Multifactorial traceability and characterization of Specialty and high-quality coffee” nella quale ho raccolto gli studi condotti, sotto la guida dei Proff. Beone e Lambri ed in collaborazione con altri gruppi di ricerca della mia univeristà, sui caffè di altra qualità per sostenere ed avvalorare la loro stretta connessione con le origini, la maggiore sicurezza, e l’impatto che tostature e sistemi di estrazioni diversi hanno sul profilo sensoriale percepibile in tazza.
Di certo poi, parlando del futuro, non mi fermerò qui! più imparo, più studio, più approfondisco più scopro cose che non so e che voglio assolutamente conoscere. Da aprile sarò assegnista di ricerca in tecnologie alimentari con un progetto incentrato sull’analisi sensoriale e mirato ad indagare le ripercussioni che i processi tecnologici dell’industria alimentare hanno sul percepito del prodotto finito.
Parallelamente sono coinvolta nelle attività di SCA Italy, come giudice tecnico e sensoriale delle gare del circuito WCE e a giugno, per “festeggiare” la fine del PhD sosterrò l’esame per la certificazione da giudice internazionale per le gare barista e brewers cup.
Ci racconti cos’è uno specialty coffee?
La definizione più bella di specialty coffee è secondo me quella che ha dato recentemente SCA, definendolo una “coffee experience” che per caratteristiche proprie del caffè ma anche per tutti gli attributi che esulano dal mero profilo in tazza, ne giustificano il valore di mercato superiore.
Ritengo questa definizione perfetta ed esaustiva perché il caffè – ovviamente senza difetti e con un profilo in tazza unico e ricercato – non è tutto!! Uno specialty coffee è anche un caffè tracciabile sino alla regione, alla cooperativa e spesso sino alla farm produttrice. Un caffè di cui abbiamo la carta di identità in termini di varietà botanica, tipo di raccolta, di processo post raccolta e di selezione. In più, cosa che mi sta molto a cuore, è un caffè che ha rispettato l’ambiente e le persone che lo hanno prodotto, con pratiche agronomiche conservative e sostenibili e con un costo equo che quindi remunera a dovere le comunità che si prendono cura della produzione.
Nella tua ultima pubblicazione hai analizzato il tema della tracciabilità dello specialty coffee, ce ne puoi parlare?
Si, nella nostra ultima pubblicazione ci siamo concentrati sulla composizione elementare dei caffè specialty di 75 diverse provenienze. Per essere più chiara, abbiamo analizzato quanto e quali degli elementi che compongono la tavola periodica sono contenuti nei caffè, abbiamo verificato che questa composizione non vari – al netto della perdita della silverskin – in tostatura, e la abbiamo utilizzata per dimostrare che la provenienza dei caffè (in termini di continente e regione), la specie (arabica o canephora) e la varietà della stessa specie Arabica, abbiano una composizione elementare significativamente differente l’una dalle altre. Questo è sicuramente ascrivibile sia a condizione pedoclimatiche ma anche genetiche e alle pratiche agronomiche, cosa che ancora di più ci fa capire quanto sia importante sapere da dove vengano i caffè che beviamo e soprattutto quanto si valorizzino consumandoli come single origin.
In Italia secondo te quanto posto c’è per lo specialty coffee?
In Italia siamo solo all’inizio della diffusione degli specialty coffee e questo mi gasa tantissimo!! Dobbiamo diffondere la cultura che c’è dietro a questa filiera, senza imporre questi pregiati caffè come unica alternativa ma affiancando lotti più ricercati alle miscele che si trovano già nei locali. Credo che questo approccio potrebbe generare un circolo virtuoso all’interno dei nosti bar e caffetterie che esporranno via via il consumatore anche a caffè di qualità superiore e che, come feedback, potrebbero richiedere anche alle torrefazioni un miglioramento della qualità media dei loro prodotti o, alternativamente, un ampliamento della gamma dei caffè venduti includendo qualche lotto specialy o – perchè no – qualche fine robusta.
Riassumendo, dal mio punto di vista c’è ancora tanto spazio da poter occupare con caffè specialty!
In ultimo, visto che da poco è passato l’8 marzo, il mondo del caffè, specie se declinato ai bar è spesso maschile. Dal tuo punto di vista, qualcosa sta cambiando?
Certo, sta cambiando, e questo non deve stupire ma solamente farci sentire finalmente in un mondo che viaggia su un binario di uguaglianza.
Anche nelle competizione nazionali ed internazionali vedo sempre più coffee lovers, bariste, barwomen, latte artists donne ma anche tante giudici, Q grader, coffee experts, ricercatrici e proprietarie di farm con il fiocco rosa. Da donna sono stanca di essere felice di una parità quasi raggiunta, sono stanca di meravigliarmi nel vedere donne nelle posizioni apicali del settore nel quale lavorano, del retaggio che essere donna sia un limite. Noi donne dobbiamo giocarcela alla pari con tutto il resto del mondo, non sulla base del genere ma delle nostre competenze. Sarà questa la vera parità.